In questo tempo di ritiro, in cui il nostro spazio si è ristretto all’interno del confine domestico, il mio pensiero va ad una città di confine che ho visitato alcuni anni fa: Gorizia.
A Gorizia, dopo la Seconda guerra mondiale, viene tracciata la frontiera italo-jugoslava che separa non solo due stati ma l’Europa occidentale da quella orientale. Si crea dunque una divisione fisica ma anche simbolica, ideologica. All’improvviso, in modo paradossale, c’è chi si trova la casa da una parte e il campo dall’altra, chi perfino rischia di vedere l’abitazione tagliata in due, ci sono famiglie che non possono riunirsi. Allo stesso modo vengono divisi gli spazi pubblici, ad esempio la piazza della stazione della Transalpina.
In questa città i segni della frammentazione sono ancora visibili, osservabili, e aiutano ad immaginare la vita in quel secondo dopo guerra: le sbarre, il recinto, i muretti, la segnaletica.
Accanto a questi, ci sono però altri segni. I segni del desiderio dell’incontro, dell’apertura, della curiosità per ciò che di diverso esiste dopo il limite.
Penso alla recinzione costruita per separare: qui si è espressa non solo la disperazione ma anche il sogno di andare oltre e quello di rincontrarsi, desideri che nel tempo si sono realizzati. Come nella “domenica delle scope” del 1950 in cui i goriziani rimasti in Jugoslavia furono autorizzati a passare il confine per poter riabbracciare amici e parenti, ritornare nelle osterie e nei negozi insieme, in un clima di festa.
Altri segni li ho ritrovati nell’ospedale psichiatrico dove, negli anni sessanta, ha operato come direttore Franco Basaglia. Attraverso il suo pensiero e il suo lavoro, ha trasformato per sempre la psichiatria, oltrepassando una barriera che fino a quel momento pareva invalicabile: quella tra sani e malati, ovvero tra salute e malattia mentale. In una terra di separazione, Basaglia mette al centro della terapia l’incontro, la relazione umana tra utenti e operatori che insieme collaborano per la guarigione.
Ricordando questo viaggio a Gorizia, chiuso a casa mia in questo particolare momento, mi appare evidente che il confine ha una doppia natura: nel momento in cui esiste e ci fa sentire sicuri, porta sempre con sé, talora evidentemente talora in modo nascosto, il desiderio di essere valicato e la curiosità per ciò che si trova al di là nello spazio e nel tempo.
Testo di Francesca Breda